Noppera-bō

Da: Noppera-bō

C’era una volta
un posto in cui tornare.
Non so se era vero,
o se l’ho inventato io per avere un rifugio.
Ma lo vedevo, a volte.
Era pieno di fiori e farfalle,
prati troppo grandi per contarli
e pini bassi che sussurravano storie.
C’erano anche altalene.
Di quelle che sembrano aspettarti da sempre.

Ma i fiori non profumavano.
Le farfalle erano appese a fili trasparenti,
e restavano immobili, anche quando il vento passava.
I prati…
non cominciavano mai davvero.
E neanche finivano.
Come certi pensieri.

L’ombra dei pini era fredda,
troppo.
Ci nascondeva le cose che fanno paura,
quelle che anche a pensarle ti viene da guardarti le spalle.

Le altalene…
erano le peggiori.
Ti spingeva solo un mostro.
Una donna,
o qualcosa che le somigliava,
ma con il volto vuoto.
Come cancellato.
Come se la faccia non fosse mai esistita.

E se cadevi?
Non lo so.
Non sono mai caduta.
Forse perché sapevo che sotto quella maschera
c’era solo il niente.
O forse perché una volta,
quando ero più piccola,
pensavo che quella fosse la mia nonna.

Allora mi rifugiavo sotto i pini,
ma solo dove arrivava la luce.
Mi stendevo sull’amaca,
e lasciavo che mi cullasse piano,
come una ninna nanna dimenticata.
E lì, in quell’angolo esatto,
la Noppera-bō non poteva toccarmi.
Neanche se cantava.
Neanche se mi cercava.